Credo
sia molto semplice spiegare perché qualcuno si autocostruisce una barca: è
insito nel patrimonio genetico dell’uomo dedicarsi alla costruzione di
qualcosa: sia un oggetto fisico, un utensile, un’attrezzatura, sia una
costruzione di tipo mentale (intesa sia come sapere, sia come filosofia di vita)
L’autocostruzione o se si preferisce
la costruzione amatoriale di una barca si colloca in quest’ottica, come del
resto tanti altri tipi di costruzione (esempio il faidatè domestico, il
giardinaggio – inteso come costruzione di un ecosistema) e fa leva su quella
molla insita in ognuno di noi. E’ pacifico che quella molla può scattare in
tantissime direzioni, nel mio è andata verso una barca.
Magari ci si può chiedere perché
proprio una barca. Ogni autocostruttore ha una sua risposta, nel mio, anzi nel
nostro perché è coinvolta direttamente o indirettamente tutta la mia famiglia,
è legata alla nostra storia: avevamo uno stabilimento balneare a Marina di
Ravenna, per cui il mare con tutti i suoi annessi e connessi ha molto spesso
fatto sentire la sua influenza: in primo luogo ci ha dato una fonte di guadagno
e poi il windsurf, la deriva (un mitico 470).
E’ normale che svolgendo attività
velica, rigorosamente a livello di divertimento, si scambiano idee con amici, si
legge qualcosa, si visitano fiere, ecc. Durante tutta questa serie di attività
collaterali, soprattutto leggendo Bolina ed in particolare gli articoli di
Gabriele D’Alì si è materializzata l’idea di autocostruirci un multiscafo.
Le risposte
sono molteplici, innanzitutto la nostra curiosità: avevamo già avuto
esperienze con un monoscafo (anche se piccolo) da qui la voglia di qualcosa di
diverso. Poi via via si possono elencare tutta un’altra serie di motivi più o
meno razionali che ci hanno portato ad orientarci verso un multiscafo: dal punto
di vista costruttivo è più semplice (in effetti è un tipo di natante che si
è sviluppato dove la metallurgia o era sconosciuta o era poco praticata per cui
la costruzione deve essere semplice e tale da non dover ricorrere ad un elevato
numero di utensili) e quindi si sposa felicemente con l’autocostruzione
“domestica” dove non si hanno a disposizione né grosse attrezzature né
utensili raffinati e costosi. Inoltre riteniamo che sia progettualmente più
raffinato in quanto per raddrizzare lo sbandamento non usa un sistema che
appesantisce sensibilmente la struttura (come la zavorra dei monoscafi) bensì
sfrutta la leggerezza di un altro galleggiante.
N.B. Le nostre sono considerazioni
personali e non abbiamo la benché minima idea di metterci a far polemica
coi sostenitori dei monoscafi: è una nostra idea punto e basta! Ognuno è
libero di pensarla come vuole e andar per mare con quello che ritiene più
opportuno.
Catamarano
o trimarano
Il problema
era se costruire un poliscafo con due o tre scafi. Beh direi che il problema ce
lo ha risolto Gabriele D’Alì nel suo libro “Multiscafi”: un trimarano si
può benissimo costruire con uno scafo centrale e due scafetti laterali più
piccoli, per cui si possono ottenere tutte e due le cose.
In altre parole costruendo per primi gli scafetti, si ha un catamarano
poi se si hanno tempi e voglia si può benissimo costruire il terzo e più
grande scafo e con opportuni adattamenti si possono usare traverse, velatura
ecc. del catamarano.
Per
cui nella nostra costruzione abbiamo privilegiato la versatilità a scapito di
altre cose, una di queste è sicuramente l’economicità: è indubbio che
spendiamo di più sia come tempo che come denaro a sviluppare un’idea di
questo genere che puntare dritto ad uno specifico poliscafo. Però vale il
discorso fatto sopra: è una nostra
considerazione e dopotutto non diamo fastidio a nessuno!
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